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Ma quale “green diesel”! L’Authority multa Eni. Prima sanzione contro il “greenwashing”

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha irrogato, il 15 gennaio 2020, una sanzione di 5 milioni di euro all’Eni per la diffusione di messaggi pubblicitari ingannevoli utilizzati nella campagna promozionale che ha riguardato il carburante Eni Diesel+, sia relativamente all’affermazione del “positivo impatto ambientale” connesso al suo utilizzo, che alle asserite caratteristiche di quel carburante in termini di risparmio dei consumi e di riduzioni delle emissioni gassose.

L’ingannevolezza dei messaggi derivava in primo luogo dalla confusione fra il prodotto pubblicizzato EniDiesel+ e la sua componente biodiesel HVO (Hydrotreated Vegetable Oil), chiamata da Eni “Green Diesel”, attribuendo al prodotto nel suo complesso vanti ambientali che non sono risultati fondati.

Nei messaggi si utilizzavano in maniera suggestiva la denominazione “Green Diesel”, le qualifiche “componente green” e “componente rinnovabile”, e altri claim di tutela dell’ambiente, quali “aiuta a proteggere l’ambiente. E usandolo lo fai anche tu, grazie a una significativa riduzione delle emissioni”, sebbene il prodotto sia un gasolio per autotrazione che per sua natura è altamente inquinante e non può essere considerato “green”.

Inoltre, alcune delle vantate caratteristiche del prodotto, relative alla riduzione delle emissioni gassose fino al 40%, delle emissioni di CO2 del 5% in media, e dei consumi “fino al 4%”, non sono risultate confermate dalle risultanze istruttorie, in quanto parziali. Non per tutte le emissioni gassose e non in tutti i casi, infatti, la riduzione risultava raggiungere il 40% e, per i consumi, la riduzione era solo in minima parte imputabile alla componente HVO denominata da Eni “Green Diesel”. Anche la contestualizzazione delle affermazioni non è risultata adeguata: ad esempio non era adeguatamente chiarito che il vanto di una riduzione delle emissioni di CO2 era riferito all’intero ciclo del prodotto.

Infine nei messaggi si lasciava intendere che le vantate caratteristiche migliorative del prodotto – da cui erroneamente si lasciava intendere discendesse la natura di prodotto orientato alla protezione dell’ambiente – fossero da attribuire in maniera significativa alla sua componente definita da Eni “Green Diesel”, aspetto anch’esso che, secondo l’Autorità, non è risultato veritiero.

Nel corso del procedimento la società ENI ha avviato l’interruzione della suddetta campagna stampa e si è impegnata a non utilizzare più, con riferimento a carburanti per autotrazione, la parola “green”.

La sentenza è arrivata a seguito di un reclamo presentato da Legambiente, dal Movimento Difesa del Cittadino e da Transport & Environment (T&E) per pratica commerciale scorretta in violazione del Codice del Consumo. La vicenda è stata denunciata la prima volta in articolo pubblicato a gennaio 2019 dalla rivista “La Nuova Ecologia”, la storica testata di Legambiente.

Secondo Stefano Ciafani, Presidente di Legambiente, si tratta di una “decisione storica, perché per la prima volta in Italia si parla ufficialmente di greenwashing”. “L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ci ha dato ragione – prosegue Ciafani – ma non basta. Ora è tempo che anche il Governo scommetta davvero su un Green New Deal italiano, iniziando proprio dalla definizione immediata di una strategia di uscita graduale ma netta e inesorabile dai 19 miliardi di euro di sussidi diretti e indiretti alle fonti fossili che sono causa dell’emergenza climatica, definendo anche lo stop agli incentivi all’uso dell’olio di palma nel diesel”.

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