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Le strategie energetiche secondo Ugo Bardi: “discontinuità delle rinnovabili? Basta immagazzinarle, come le fragole”

ottobre 2, 2014 Internazionali, Nazionali, Politiche

La crisi ucraina è tutt’altro che esaurita, il Governo Renzi continua a parlare di trivellazioni petrolifere in Italia e il Ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, martedì 30 rende un’informativa al Senato in cui ammette che il nostro sistema “può gestire eventuali interruzioni delle forniture di gas russo fino a tre mesi”, ma che, in caso di stop, si avrebbero “inevitabili conseguenze in termini di aumento dei prezzi del gas“. Intanto il Parlamento Europeo ascolta (e “boccia”) in audizione il nuovo Commissario all’Ambiente, Karmenu Vella, che non nega le proprie simpatie per le tecniche di “fracking”. Poi però, quando si va all’ONU, all’Assemblea sui cambiamenti climatici, è tutto un inno alle rinnovabili e alla riduzione delle emissioni. In Italia e in Europa sembra regnare la peggiore confusione sulle politiche energetiche. Ne abbiamo parlato con il Prof. Ugo Bardi, presidente ASPO, l’associazione per lo studio del “picco petrolifero” e docente di Chimica Fisica presso l’Università di Firenze, che stamattina interverrà a Piacenza alla conferenza Ricerche e sfruttamento delle risorse naturali in Italia. Opportunità o problema?“, organizzata dal Consiglio Nazionale dei Geologi.

D) Professor Bardi, secondo il Ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi, il nostro sistema “può gestire eventuali interruzioni delle forniture di gas russo fino a tre mesi”, anche se in caso di stop, si avrebbero “inevitabili conseguenze in termini di aumento dei prezzi del gas”. Lei cosa ne pensa?

R) Innanzi tutto una premessa: la Russia ha una produzione di gas abbastanza stabile e probabilmente riuscirà a mantenere questi livelli di produzione ancora per alcuni anni. Il problema del gas è che si trasporta male e in grandi quantitativi: ci sono due modi per farlo, attraverso i gasdotti e con la più costosa (del 20-30% in più) tecnologia del Liquified Natural Gas (LNG), che si ottiene sottoponendo il gas naturale, dopo opportuni trattamenti di depurazione e disidratazione, a successive fasi di raffreddamento e condensazione. In quest’ultimo caso, il trasporto a grande distanza dal luogo di produzione avviene via mare: il Giappone non può non importare gas tramite LNG per via della sua posizione geografica mentre l’Europa, dipendendo quasi esclusivamente da Russia e Libia, lo fa tramite gasdotti.

D) Chiaro. Dunque, qual è l’attuale situazione energetica, in Europa?

R) L’Europa sta diventando sempre più dipendente da petrolio e gas ma i pozzi dei mari del Nord – che li hanno forniti fino ad oggi – si stanno esaurendo e dunque è costretta a importare gas, non solo dalla Russia, ma anche dalla Libia e dal Nord Africa. Bisogna correre ai ripari, dunque…

D) Cosa vuol dire concretamente rendersi “indipendenti”?

R) In nessun luogo del mondo esiste l’autosufficienza energetica perché nessun Paese basa la propria economia sull’energia rinnovabile. Una delle prime cose da fare, sarebbe, per adesso, quella di variare almeno le sorgenti da cui importiamo: non è la via maestra, ma almeno non dipenderemmo da un solo Paese. Il problema è che abbiamo già investito in contratti a lungo termine, nonché in gasdotti e oleodotti dalla Russia che attraversano in gran parte l’Ucraina. E pensi che l’Italia, rispetto ad altri paesi europei, è meno dipendente dalla Russia!

D) Quali sarebbero secondo lei gli ostacoli alla diversificazione delle fonti?

R) Il primo problema che si presenta nel momento in cui si decidesse di diversificare le sorgenti è quello di adattarsi a un prezzo maggiore. C’è chi sostiene che il costo del gas americano sia talmente basso (circa 4-5 dollari per Thousand Cubic Feet) rispetto a quello russo (intorno ai 10 dollari) che converrebbe importare dagli USA. La ragione per cui in America  il gas è più economico è per via del “gas di scisto”(o Shale Gas), un tipo di gas metano derivato da argille che è prodotto in giacimenti non convenzionali, situati tra i 2.000 e i 4.000 metri di profondità e raggiungibili attraverso tecniche di “perforazioni orizzontali e fratturazioni idrauliche” (il cosiddetto “fracking“, NdR). L’estrazione dello shale gas solleva timori, ancora irrisolti, circa i rischi ambientali derivanti dall’estrazione. Durante l’estrazione, infatti, il gas di scisto libera nell’atmosfera una quantità di metano, un gas fortemente attivo nel causare l’effetto serra. Per quanto riguarda la durata di queste risorse, esistono diverse scuole di pensiero: quella secondo cui il gas di scisto avrebbe una prospettiva di pochi anni e quella che, al contrario, ipotizza una trentina d’anni o anche un secolo…

D) Come se ne esce?

R) Non se ne esce! Il problema è che gli USA sono a loro volta importatori di gas dal Canada e non hanno gas in eccesso: tutta l’idea si basa sul concetto che gli Usa avranno gas in eccesso nei prossimi anni, ma non è affatto detto che questo ci sarà. Nel frattempo, dovremmo spendere miliardi per le infrastrutture per il trasporto di una risorsa che potrebbe non arrivare mai.

D) Lei quale scenario prefigura?

R) Secondo me, lo scenario secondo cui i russi chiuderebbero i rubinetti del gas, appare molto improbabile e si tratta esclusivamente di una operazione a favore del gas americano: c’è un mercato europeo che per le sole importazioni dalla Russia, vale circa 50 mld di dollari l’anno, un mercato – al momento – monopolio di pochi produttori mediterranei (Libia, Nord Africa oltre alla Russa, principalmente).

D) Può spiegarci meglio?

R) La mia opinione è che nei prossimi anni tutto si acquieterà: facciamo un role play, come quello che infliggo ai miei studenti: ammettiamo che lei sia un produttore di gas americano e voglia ingrandire il suo mercato ma ha un prodotto che non sa come vendere perché fuori prezzo. Allora cosa fa? Spaventa il suo concorrente, chiaro! In realtà, però, il prodotto non può venderlo perché non c’è ancora il modo di esportarlo ma così facendo, ottiene finanziamenti per continuare a produrlo e realizzare facilities per un’ipotetica esportazione nel futuro…

D) Dunque?

R) Per un certo periodo, quindi, continueremo ad assistere a una certa tensione geopolitica che si manifesterà con la riproposizione dello spauracchio di buttare fuori la Russia dal mercato del gas europeo. Ma ci vorranno anni prima che questa eventualità possa avvenire (se mai accadrà), nel frattempo, noi non abbiamo molta scelta. Produciamo poco gas e non abbiamo altri strumenti se non le rinnovabili.

D) Perché allora non lo facciamo?

R) Si tratta di una decisione politica più che tecnica. Quando c’è da spendere miliardi di euro, la necessità di avere una strategia a lungo termine è sopravanzata dagli interessi delle diverse lobby in campo. In Italia, il governo sta facendo un grosso sforzo per favorire la lobby dei combustibili fossili, che è tuttora più potente di quella delle rinnovabili.

D) A chi oppone la discontinuità di produzione delle fonti rinnovabili, cosa dice?

R) Sulla discontinuità delle energie rinnovabili, dico che è un problema che hanno anche le fragole, che però si possono congelare e, anche se sono meno buone, potranno così essere mangiate anche a dicembre. Lo stesso vale per l’energia rinnovabile: si può immagazzinare. Sarà più costosa, ma si tratta di una strada percorribile e senza alternativa.

Ilaria Donatio

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