Bici e cultura a tavolino. Tappa all’Upcycle Bike Café di Milano
Sulla scia del Nord Europa crescono, anche in Italia, i bike café, un fenomeno al quale avevamo dedicato una puntata di “Campioni d’Italia” con l’esempio del bike bar di Alessandria. Ma il primo ad “aprire bottega” è stato, in realtà, già tre anni fa l’Upcycle Milano Bike Café. Un primato di cui i suoi fondatori non sono affatto gelosi, anzi: “fortunatamente è stato copiato ed imitato” dice orgoglioso Roberto Peia, uno dei responsabili di questa avventura. Che “con un gruppo di amanti della bici, imprenditori, operatori, giornalisti“, nel capoluogo lombardo, in via Ampère 59, ha rigenerato “un garage d’automobili, vecchio sporco, puzzolente ed abbandonato” per dare spazi di socialità a chi ama muoversi a pedali.
L’idea è nata grazie ad una ricerca del distretto di co-working e innovazione sociale Avanzi che, ricorda Peia, aveva necessità di ampliare gli spazi. In Italia, all’epoca, non ne esisteva ancora uno di bike bar, Roberto ha la passione per la bici, è il fondatore di Ubm (che si occupa di consegne su due ruote) e quando arriva la proposta risponde subito di sì. Detto fatto Peia coinvolge uno studio di architetti, il riferimento sono i modelli nordeuropei e londinesi: spazio, dunque, ai grandi tavoli che agevolano socialità.
Chi si muove a pedali cerca benessere e qualità della vita, a iniziare dal cibo. Per questo il titolare srotola il menu salutista: “Massima attenzione al biologico, abbiamo sempre un piatto per chi è vegano, vegetariano o intollerante“. Il ciclista portatore sano di benessere. Cura del corpo, ma pure della mente: Upcycle ospita una biblioteca tematica e vende anche libri. “Oltre il versante enogastronomico ci impegniamo in quello ciclo-culturale. Ogni mese presentiamo un resoconto di viaggi in bici”, poi c’è l’appuntamento fisso con la bici del mese. A dicembre la scelta è caduta su MB Crew, una piccola realtà artigianale “a due passi da Upcycle, che ha aperto i battenti da qualche anno in un piccolo e caloroso negozio di bici gestito e cresciuto da Simone e Federico, che arrivano dalla crew della BMX. Con lei hanno fatto le notti in Stazione Centrale e al Parco Lambro, poi sono diventati grandi e hanno capito che la loro passione doveva evolversi e, inizialmente un po’ per gioco, ne hanno fatto un lavoro”. E’solo un esempio del circolo virtuoso di networking che si discute e si crea in questa sorta di distretto culturale metropolitano dedicato a ruote, manubrio e pedali.
Negli spazi di Upcycle sono passati grandi maestri dell’artigianato come Dario Pegoretti e Doriano De Rosa e miti del ciclismo come Francesco Moser, Ivan Basso, Claudio Chiappucci e Davide Cassani, attuale allenatore della nazionale. Insomma, “la meglio gioventù” del ciclismo. Eventi di grande fascino, ma porte aperte anche all’educazione civica con convegni sulla sicurezza organizzati insieme alla Fiab, la Federazione Italiana degli Amici della Bicicletta.
Nei bike bar non si va solo per incontrare i compagni di pedalata, mangiare, bere, confrontarsi e chiacchierare. La cultura è al centro. E non poteva essere diversamente per uno come Peia, che ha pubblicato un curioso libro, con la chef del locale Francesca Baccani, dal titolo originale: “Dalla padella alla bici“ovvero un ricettario dei piatti che si possono gustare da Upcycle. Ma non è finita qui perché il ciclista imprenditore ha ripercorso sulle pagine di una pubblicazione anche la sua avventura imprenditoriale con i corrieri in bici e pure un noir a pedali, dal titolo “A rincorrere il vento. Storia di pedali, pistole e puttane“.
Secondo Roberto manca la cultura della bici in Italia. “Nel nostro paese è necessario far dialogare le varie tribù che compongono la variegata comunità dei ciclisti. Non c’è comunicazione tra chi va a scatto fisso e quelli che si sporcano di fango con la Mtb o ancora quelli che usano la bici negli spostamenti quotidiani“. Un popolo da far crescere, anche in senso ecologico. “Crediamo in questa forma di mobilità perché risolverebbe molti problemi, ma servono investimenti in sicurezza, rastrelliere, intermodalità, piste ciclabili”. C’è insomma ancora molto da pedalare.
Gian Basilio Nieddu