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In viaggio verso il 2028. La nuova vita della Val Maira, tra natura, arte e gastronomia occitana

agosto 25, 2017 Impressioni di viaggio, Rubriche

Il 28 maggio 2028 la Valle Maira festeggerà 1.000 anni di storia, dalla prima citazione nel testamento del marchese di Torino Olderico Manfredi e della sua sposa, la contessa Berta, che donarono una parte della valle cuneese ai benedettini per favorire la fondazione del monastero femminile di Santa Maria di Caramagna. Ma dal punto di vista naturalistico e geologico la valle è ovviamente molto più antica e conserva addirittura le tracce – nel senso letterale – del Ticinosuchus ferox (un rettile triassico progenitore dei dinosauri), scoperte dal geologo Enrico Collo nei pressi del Rifugio Gardetta.

Gli stimoli a visitare la valle non mancano eppure, per la conformazione, la difficoltà di accesso e l’assenza di impianti di risalita resta una delle più selvagge e meno conosciute del Piemonte, destinazione ideale per chi cerca biodiversità, boschi e animali, ma anche ottima gastronomia e preziose testimonianze artistiche e culturali di quella tradizione occitano-provenzale che unisce da secoli le popolazioni di un’ampia zona alpina e marittima tra Italia e Francia.

Alla Val Maira si accede dalla “porta” di Dronero, pittoresco comune fondato su un contrafforte roccioso alla confluenza del torrente Maira con il rio Roccabruna, dove svetta lo spettacolare “Ponte del Diavolo“, costruito nel 1428. La nostra destinazione è il piccolo comune di Marmora, 76 abitanti, che sul proprio sito istituzionale si presenta così: “tre metri sotto il cielo…nel silenzio della natura“. Dobbiamo incontrare Tommaso e Alessia, i due ragazzi romani che dalla Capitale d’Italia hanno deciso, un anno fa, di trasferirsi in uno degli angoli più remoti delle Alpi Cozie, per cambiare marcia e prospettiva.

Da Dronero proseguiamo sulla provinciale per San Damiano Macra, un’ex statale istituita nel 1928, che riporta alla memoria i transiti di convogli militari durante la guerra. Lungo la strada vedo la diramazione per Palent, la borgata dove Matteo Laugero e i figli coltivano, in regime biologico, il genepy autoctono e le erbe officinali che danno vita ad alcuni tra i migliori liquori che io abbia mai bevuto. Arrivati a Ponte Marmora si gira a sinistra e dopo un po’di stretti tornanti si arriva alla Frazione Vernetti. Colpisce subito il numero di fuoristrada e motociclette con targa tedesca e austriaca, a conferma che, spesso, gli stranieri sanno vedere in anticipo, nelle nostre risorse naturali e culturali, delle potenzialità che noi tardiamo ad apprezzare. Chissà se anche qui succederà come con gli Svizzeri nelle Langhe o gli Inglesi nel Salento e si inizierà a recuperare le vecchie baite e le borgate per valorizzare il territorio e innescare economie virtuose…Un impulso determinante in una valle chiamata un tempo “il buco nero” (per la quasi totale emigrazione della popolazione locale) l’hanno sicuramente dato, a partire dagli anni ’80, Andreas e Maria Schneider, una coppia austro-tedesca che tutti citano con affetto.

Ma anche altra “gente del posto” ha iniziato, col tempo, a darsi da fare. L’albergo diffuso della Pensione Ceaglio è un gioiellino che non ha nulla da invidiare a mete più blasonate. Si può gustare una cucina casalinga ma raffinata, in una piazzetta contornata da baite di pietra ben ristrutturate, che ospitano camere e appartamenti volutamente privi di televisore, ma confortevoli e dotati di spazi comuni di relax e benessere, come la sauna. L’alimentazione energetica della struttura è da fonte rinnovabile e l’acqua servita ai tavoli arriva dalla fontana che sgorga tra i tavoli. Essendo estate la cameriera passa ogni tanto a rovesciare le brocche di acqua riscaldata dal sole e le riempie con nuova acqua fresca, con grande piacere dei clienti. Portare qui bottiglie di plastica sarebbe una bestemmia e peggiorerebbe, oggettivamente, il livello di servizio (ma non è mai inutile ricordarlo, vista la quantità di inutili bancali d’acqua in bottiglia che viene trasportata ogni giorno sulle nostre montagne).

Consumato il pasto ci spostiamo a Borgata Arata, al rifugio escursionistico Brec dal Vern (l’altopiano dell’ontano, in dialetto locale), posto tappa per camminatori, a 1.400 metri, con camere tipo B&B e camerate più spartane in stile rifugio di montagna. A gestire la struttura è Mauro, che cura anche gli alpeggi in quota e al mattino prepara colazioni prevalentemente salate, con frittatine alle erbe e tome che fanno impazzire i tedeschi. Ricordatevi solamente di prelevare contanti prima di salire in valle perché qui le connessioni dei POS non funzionano e il bancomat più vicino è ad Acceglio (ma, mi dicono, è quasi sempre vuoto o rotto). Io da ex cittadino e neo campagnolo abituato alle comodità dell’Albese non ci ho pensato, ma Mauro non mi ha tenuto a lavare i piatti. Esiste ancora, in queste valli alpine, un valore poco praticato in pianura, che si chiama fiducia: “Vai tranquillo, mi fai un bonifico quando torni a casa. Non parliamo di soldi, goditi la montagna…”.

In attesa della cena faccio due passi verso Borgata Garino, percorrendo un sentiero dove scopro altre baite finemente ristrutturate e la stupenda Cappella di San Sebastiano, con gli affreschi quattrocenteschi di Giovanni Baleison da Demonte. Da Garino parte anche il sentiero dedicato a Giors Boneto, pittore itinerante di Paesana che in 43 anni di attività, nel Settecento, ha “colorato” le valli occitane con dipinti “dai colori vivaci, che restituiscono la suggestiva immagine di un mondo contadino povero, ma ricco di fede“, scrive il sito Invalmaira.it (il più ricco di informazioni, curato da una grafica pubblicitaria milanese che qui ha lasciato il cuore e le origini).

Per cena Tommaso e Alessia hanno prenotato per noi all’agriturismo Lou Bià di Monica Colombero, che insieme al compagno gestisce anche un’azienda agricola biologica e organizza corsi con “lo scopo di avvicinare giovani e adulti alla Madre Terra, per ritessere i legami originali, recuperare le abilità manuali attraverso l’uso di strumenti di lavoro non meccanici e riscoprire i materiali naturali, come il legno e la pietra“. Ci sediamo tutti intorno ad un grande tavolo di legno quadrato (realizzato da Sergio con antiche assi di recupero), mentre iniziano a sfilare le fantastiche ricette della padrona di casa: semplici, stagionali e locali con materie prime di eccezionale qualità, accompagnate da pane fatto in casa e da un “Nebbiolo di Dronero” autoctono dell’azienda montana biologica Galliano. Totale per due adulti e due bambini, con vino, 75 euro!

Per le famiglie o i gruppi di amici più numerosi che vogliano soggiornare a Marmora senza rinunciare alle comodità e alla privacy della grande struttura, ma conservando un’atmosfera di autenticità locale, in Borgata Finello si trova anche la locanda Lou Pitavin, un hotel in pietra e legno, ristrutturato con criteri di efficienza energetica nel 2013 e diventato il primo caso studio di KlimaHotel del Nord Ovest, secondo la certificazione ambientale dell’agenzia altoatesina Casa Clima. A due passi dal Pitavin è possibile ammirare il Santuario della Madonna del Biamondo, un’altra testimonianza religioso-architettonica datata 1719, mentre i bambini possono sognare e divertirsi nella “casa sull’albero“.

Rientrati al Brec dormiamo, nel silenzio assoluto, sotto le volte in pietra della baita e al mattino Mauro ci prepara i panini per proseguire la nostra escursione verso il Lago Resile, un piccolo lago naturale di color verde smeraldo, raggiungibile anche in auto (con molta prudenza e attenzione) attraverso una stradina militare asfaltata recentemente al centro di una disputa tra il presidente della comunità montana e gli operatori commerciali, sulla quale vale la pena spendere qualche riflessione. In gioco ci sono infatti due diverse visioni del turismo: “Crediamo che prima di pensare a pedaggi e regolamentazioni varie – scrivono i 150 operatori nella petizione pubblica – occorrerebbe migliorarne sostanzialmente la percorribilità [...] fatto questo sarà giusto prevedere un equo pedaggio. Per l’economia delle valli la corretta e libera circolazione attraverso i colli Valcavera, Fauniera ed Esischie, è di fondamentale importanza. Con questi valichi aperti, il lavoro delle nostre aziende ha un incremento di un buon 40%. Per questo motivo, siamo fermamente contrari a qualsiasi ipotesi di chiusura al traffico”. Dal canto suo il presidente Roberto Colombero risponde: “Le questioni sono due: politica e di sicurezza. Come scelta politica difendo il turismo sostenibile. Non ho nulla contro le moto e i quad, ma i dati dicono che le nostre strutture ricettive vivono grazie al trekking e mountain bike. E spiace che alcuni imprenditori turistici non l’abbiano ancora capito. Come sindaco di Canosio chiuderò la strada che porta alla Gardetta, dal colle del Preit al colle di Colonia, tutti i weekend di luglio e agosto e i primi due di settembre, nonché per l’intera settimana di Ferragosto, poiché la strada con un flusso di traffico maggiore al normale non è sicura”.

Da forestiero non è mia intenzione mettere becco nel caso specifico, ma come osservatore “esperto” di questi temi mi permetto qualche considerazione en passant: i due modelli non sono inconciliabili, devono però trovare un punto di compromesso. Talvolta i timori degli operatori commerciali sono esagerati e poco lungimiranti (basti vedere le rivolte che precedono ogni pedonalizzazione di un centro cittadino), ma è anche vero che è necessario essere pragmatici e offrire loro un’alternativa. Soprattutto se si tratta di valli che non patiscono un turismo “di massa” e non si possono permettere di perdere quel +40%, pena un secondo spopolamento! Anche sui passi dolomitici (invasi da numeri mostruosamente superiori di turisti) si sta discutendo la questione delle restrizioni di accesso e tutti gli anni una manifestazione come la ECOdolomites fa toccare con mano, orecchio e naso – ai residenti e ai turisti – cosa vorrebbe dire percorrerli con mezzi elettrici o con altre forme di mobilità sostenibile, come abbiamo cercato di far capire anche noi, nelle Langhe Unesco, con IMAG-E tour.

E’un dato di fatto che anche un “ecologista” come me, volendo scollettare in Val Grana per proseguire il tour e rientrare a casa, è arrivato al Colle Esischie in auto, altrimenti con due bambini piccoli e i bagagli non ci sarei mai arrivato camminando o in bici. Mi sono però sentito in forte disagio (e pericolo) nella promiscuità con ciclisti, trekkers, motociclisti e, soprattutto, incrociando – in una stradina a strapiombo larga poco più che un’auto – un camper che, infrangendo impunemente i divieti, procedeva in senso di marcia opposto. Una soluzione va trovata e le restrizioni temporanee di accesso ai mezzi convenzionali unite a pedaggi che creino fondi utili alla messa in sicurezza (non a tappare i bilanci dei Comuni) e all’agevolazione di veicoli silenziosi e non inquinanti (anche a noleggio), mi sembra oggi il mix di misure più efficace per salvare capra e cavoli. Senza dimenticare che qualcuno ci ha già messo, di suo, dell’inventiva e ha lanciato servizi come lo Sherpabus, per rendere più agevole lo spostamento a piedi tra le valli dei Percorsi Occitani, senza doversi portare tutto il bagaglio in spalla…

Chiusa la parentesi, il nostro viaggio è proseguito appunto verso il Colle Esischie, con una tappa immancabile all’Alpe Valanghe per acquistare latte fresco appena munto (io lo bevo così, senza bollitura, lo ammetto) e formaggio Nostrale, molto apprezzato dai ciclisti stremati, che prima di affrontare l’ultima salita si fanno preparare abbondanti taglieri nei tavoli vicini alla baracca di rivendita. Da qui è possibile fare una breve scursione a piedi verso il Passo del Mulo, per ammirare più da vicino le Dolomiti della Val Maira“. Un soprannome meritato e di cui si intuisce facilmente la ragione guardando il Becco Grande o l’iconica Rocca la Meja.

Il Colle Esischie collega la Val Maira alla Val Grana. Qui in punta si trovano tracce della mitologia ciclistica più estrema, come la targa dedicata al passaggio, nel 2007, della gran fondo “La Fausto Coppi“. Scendendo a valle per i tornanti (che ricordano, anche in questo caso, alcuni passi dolomitici) arriviamo al maestoso Santuario di San Magno costruito a 1.760 metri di altitudine. Gli altoparlanti che diffondono la messa ai quattro venti cozzano un po’ con l’idea di “ritrovo nel silenzio della propria spiritualità” proposta sul sito internet, ma la sorprendente vicinanza alle vette e al cielo indurrebbe alla riconciliazione con il “creato” anche un ateo. Tanto che mi torna in mente un mio vecchio appunto nel diario della GTA del 1994, dove scrissi, da buon panteista quale rimango, “Se Dio esiste è la montagna“…

Neanche in questi momenti di sublime ricongiungimento riesco però a rinunciare alla materialità dell’enogastronomia e scendendo a Pradleves mi fermo ancora per una tappa, alla Poiana, per l’ultimo tagliere di formaggi della valle. Un tripudio di pecorini d’alpeggio, erborinati e sua maestà il Castelmagno! ”Datemi un buon coltello affilato e un buon formaggio da tagliare e io sarò un uomo felice”, pare sia solito dire George R.R. Martin. Anche lui, per essere uno scrittore fantasy, non sembra disdegnare i piaceri terreni.

Rientrando sulla strada verso Caraglio vedo ancora, nei cartelli stradali, una deviazione ricca di suggestioni e ricordi: Coumboscuro, dove ci portò in gita, al liceo, la Prof.ssa Dalmazzo, a visitare il Centro Internazionale di Cultura. Qui, dal 26 agosto, per una settimana, arriveranno in valle gli “amici” provenienti dal Nizzardo, dal Roya, Ubaye e dal Queyras, per ripetere il rito del Roumiage, l’incontro tra le genti del Piemonte occitano e della Provenza francese. Un’antica tradizione riscoperta negli anni Sessanta e diventata ormai un fenomeno di interesse europeo.

Andrea Gandiglio


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