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“Natura e Capitalismo”: lo sviluppo economico può rispettare l’ambiente

aprile 29, 2014 Racconti d'Ambiente, Rubriche

La natura è da sempre minacciata dall’intervento dell’uomo. Ma l’economia di mercato capitalistica – il modo di produzione che è prevalso negli ultimi due secoli – è specialmente lesiva degli equilibri ambientali. Allo stesso tempo essa può esprimere le risorse, anche energetiche, e le tecnologie necessarie a ricostituire quegli equilibri e a prevenire l’ulteriore inquinamento e surriscaldamento del pianeta. Partendo da queste premesse, il volume “Natura e Capitalismo”, da poco pubblicato da LUISS University Press, raccoglie una serie di saggi che analizzano come sia possibile conciliare il progresso economico, in primo luogo dei paesi poveri, con la tutela dell’ambiente. Nel libro, curato da Pierluigi Ciocca e Ignazio Musu, si sottolinea come sia urgente applicare le tecnologie non inquinanti che sono già disponibili, e svilupparne di nuove; modificare gli stili di consumo e la composizione dei servizi che vengono prodotti; nell’ambito della cooperazione internazionale pervenire a soluzioni condivise, vincendo i nazionalismi che hanno sin ora ostacolato l’azione comune. Per la rubrica “Racconti d’Ambiente“, pubblichiamo oggi un estratto del terzo capitolo “Crescita economica: una sfida alla sostenibilità“, di Ignazio Musu.

La crescita economica basata sull’utilizzo dei combustibili fossili ha permesso, attraverso la globalizzazione, un innalzamento eccezionale del livello medio di vita e una riduzione assoluta della povertà. Ma ha portato anche a un aumento della disuguaglianza sia nei paesi avanzati sia nelle economie emergenti.

Inoltre l’esperienza degli ultimi 250 anni mostra un indiscutibile impatto negativo della crescita economica sulla qualità dell’ambiente, soprattutto nelle fasi iniziali del processo.

L’inquinamento, non solo quello atmosferico e dell’acqua, ma anche quello del suolo sotto forma di rifiuti, è un elemento sempre più importante di deterioramento della qualità della vita. Se la crescita economica comporta degrado ambientale, alle generazioni future vengono lasciate minori opportunità per una decente qualità della vita rispetto a quella di cui godono le generazioni presenti. Questa osservazione è alla base dell’idea di “sviluppo sostenibile”: lo sviluppo che permetterebbe alle generazioni future di avere almeno le stesse opportunità della generazione presente (World Commissionon Environment and Development, 1987).

Nella definizione di sviluppo sostenibile è presente sia l’esigenza di mantenimento dell’attività economica, sia l’esigenza di una qualità della vita accettabile e che possibilmente migliori nel tempo. Perché le generazioni future possano continuare a vivere, è irrinunciabile salvaguardare le funzioni essenziali della biosfera, premessa perché si possa continuare a svolgere una attività economica, produrre e consumare.

Della sostenibilità si dà spesso una definizione restrittiva, limitata alla sua dimensione economica. Da parte di molti si mette in dubbio la sostenibilità della crescita economica a causa della scarsità delle risorse naturali esauribili, come i minerali e soprattutto i combustibili fossili, che, una volta utilizzati, non possono essere riciclati. L’esaurimento delle riserve di combustibili fossili è stato ripetutamente allontanato nel tempo. Ed anche oggi le previsioni più pessimistiche sono messe in discussione, soprattutto per le nuove possibilità di utilizzare le fonti cosiddette “non convenzionali” offerte dalla tecnologia.

Per i combustibili fossili esistono mercati sui quali la scarsità si può manifestare, e di fatto si manifesta, attraverso l’aumento del loro prezzo relativo. Ne derivano meccanismi che riducono la scarsità sia rendendo profittevoli gli sforzi per individuare nuove riserve, sia permettendo l’uso di nuove tecnologie per consentirne lo sfruttamento. L’aumento del prezzo relativo favorisce inoltre l’investimento in fonti rinnovabili e una loro maggiore utilizzazione.

I mercati delle risorse naturali esauribili sono però ben lontani dall’ideale della concorrenza perfetta. Come le ripetute crisi energetiche dimostrano, la crescita della domanda si combina, in modo spesso non facilmente distinguibile, con una scarsità di offerta prodotta artificialmente dallo spregiudicato esercizio del potere di monopolio dei possessori degli stocks. Anche oggi queste imperfezioni dei mercati consentono ai paesi detentori dei giacimenti di petrolio e di gas naturale di rialzare i prezzi al di là di quanto avverrebbe in mercati concorrenziali. La rilevanza politica di tutto ciò è sotto gliocchi di tutti, con rischi di insicurezza e instabilità internazionale crescenti. (…)

La sfida alla sostenibilità della crescita economica va al di là del problema delle risorse naturali esauribili. Molte risorse che la natura fornisce non possono infatti essere sostituite (come può avvenire nel caso dei combustibili fossili con le fonti rinnovabili di energia). L’acqua, l’aria, gli ecosistemiche costituiscono la biosfera sono risorse essenziali per la vita dell’umanità. Se non vengono preservate, non solo nessuna attività economica, ma nessuna attività umana può essere sostenuta, e tanto meno la crescita economica.

La grande opportunità per il mantenimento delle risorse della biosfera è per fortuna costituita dalla loro rigenerabilità consentita dai cicli stessi della natura. La quantità e la qualità dell’acqua, la qualità dell’aria, la qualità del suolo, le foreste e le popolazioni animali, gli ecosistemi sono risorse che, anche se sfruttate dall’uomo, possono essere ricostituite nei limiti dei cicli naturali.

Se lo sfruttamento di queste risorse supera la loro ricostituzione naturale, lo stock declinerà e le risorse sono destinate a esaurirsi. Ma se il flusso di sfruttamento è inferiore alle capacità di ricostituzione naturale, lo stock può addirittura essere ampliato. Se poi il flusso di sfruttamento da parte dell’uomo è uguale al flusso di ricostituzione naturale, lo stock può essere mantenuto indefinitamente. In questo caso lo sfruttamento e lo stock possono essere definiti sostenibili. (…)

Il mantenimento di stock adeguati di risorse ambientali rigenerabili non riguarda solo la dimensione economica della sostenibilità. Queste risorse, una volta preservate, erogano servizi che consistono anche in un miglioramento della qualità della vita. La loro preservazione non è utile solo perché consente all’attività umana, e quindi anche all’attività economica, di continuare, ma perché permette una migliore qualità della vita.

Una differenza importante tra risorse naturali esauribili e risorse naturali rigenerabili consiste nel fatto che nel caso di queste ultime è fortemente carente la capacità dei mercati di garantirne lo sfruttamento sostenibile mediante un aumento dei prezzi che rifletta la loro scarsità crescente.

In molti casi le risorse naturali rigenerabili si manifestano come risorse a libero accesso. Ma siccome l’uso da parte di qualcuno ne sottrae la disponibilità per l’uso da parte di altri (rivalità), la disponibilità è limitata e l’utilizzo può risultare eccessivo (Garrett Hardin, 1968, ha definito questa situazione una “tragedy of commons”).

Esempi di risorse di questo tipo sono una zona di pesca, una foresta, la stessa qualità dell’aria la cui disponibilità si riduce per effetto dell’inquinamento. In alcuni casi utilizzare una risorsa a libero accesso non comporta alcun costo: ad esempio respirare aria pulita. In altri casi può comportare dei costi: ad esempio per attrezzare e mantenere i battelli nel caso di una zona di pesca. In regime di libero accesso ciascuno sfrutterà la risorsa fino a che il reddito che ne riceve uguaglia il costo di sfruttamento.

Un costo dello sfruttamento troppo basso può rendere troppo basso (magari non resiliente agli shock) lo stock della risorsa disponibile per lo sfruttamento futuro. Ma se il costo di accesso è sufficientemente elevato questo esito può essere evitato. Il costo dell’utilizzo rappresenta di fatto un fattore di esclusione.

La soluzione prospettata dalla maggior parte dell’analisi economica per il problema dell’eccessivo sfruttamento delle risorse a libero accesso è l’eliminazione della non esclusività, mediante la definizione di un diritto di proprietà sulla risorsa come strumento per elevare i costi di accesso così da evitarne l’eccesso di sfruttamento. (…)

Ma il problema potrebbe essere affrontato attraverso un uso più sostenibile del bene da parte di tutti, quindi non riducendo la non esclusività, ma organizzandola in modo diverso. Il problema diventa essenzialmente un problema di governance che in molti casi può essere meglio risolto da una proprietà, e quindi da una responsabilità, assegnata alla comunità. È in questo secondo caso che le risorse diventano più propriamente “beni comuni”. (…)

Vi sono molti esempi in cui diritti di proprietà assegnati direttamente alle comunità funzionano bene, specialmente dove le persone accettano di seguire norme sociali comuni (spesso di natura informale), non decise dall’esterno o dall’alto, ma derivanti da una convinzione comune. Di particolare importanza sono l’omogeneità culturale e la dimensione del gruppo che detiene la proprietà comune. Gruppi eccessivamente numerosi aumentano i costi di transazione per il raggiungimento degli accordi, anche se l’aumento della dimensione può ridurre il peso del contributo di ciascuno.

Questo è il problema per gli accordi necessari alla gestione dei “global commons” per molti dei quali (ad esempio l’atmosfera) la proprietà della comunità degli Stati non ha alternative. Tra gli attori che influiscono sulla formazione del regime per la gestione dei global commons vanno considerati in particolare: gli interessi nazionali (la sovranità è un fattore di esclusione), l’incertezza dell’informazione scientifica, l’opinione pubblica, le organizzazioni non governative. La globalizzazione di una dimensione culturale commons-oriented è cruciale per arrivare ad accordi internazionali operativi sui beni comuni globali. Nella sua promozione gioca un ruolo importante il principio di “eredità comune dell’umanità”.

Ignazio Musu*

* Dal 1993 è stato professore ordinario di Economia Politica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove ha insegnato anche Economia dell’Ambiente. Oggi è professore emerito presso lo stesso ateneo. E’ stato visiting professor di Advanced Macroeconomics presso la Deakin University di Melbourne e di Environmental and Resource Economics presso la Johns Hopkins University di Bologna.

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