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Polis in fabula: camminare per la città

gennaio 10, 2012 Racconti d'Ambiente, Rubriche

Per la rubrica “Racconti d’Ambiente” pubblichiamo oggi un estratto del nuovo libro “ Polis in fabula. Metamorfosi della città contemporanea” di Anna Lazzarini, edito da Sellerio Editore (pag. 216, euro 18.00)

Camminare è una pratica antica e ricca di significati. La storia dell’umanità è la storia del camminare: è una storia di nomadismi, di migrazioni di popoli, di scambi culturali e religiosi. Camminando, l’uomo conosce i luoghi e si appropria del territorio. Camminando, l’uomo osserva il paesaggio naturale che lo circonda, impara a conoscerlo, a investirlo di significati e a trasformarlo. Spostarsi rispondeva al bisogno di ricercare cibo e luoghi adatti alla sopravivenza.

La società stessa si è successivamente organizzata proprio sulla base di due principi: nomadismo e stanzialità. La vicenda di Caino e Abele, narrata nel libro della Genesi, evoca un intreccio complesso fra nomadismo e sedentarietà.2 A Caino Dio avrebbe affidato il compito di dedicarsi all’agricoltura, ad Abele quello di dedicarsi alla pastorizia. Ma, in seguito a una lite, Caino uccise Abele e fu condannato alla condizione di eterno errante. La colpa fratricida è punita con l’erranza, un perenne girovagare nel paese di Nod, quel deserto che era stato percorso dallo stesso Abele. Successivamente, tuttavia, sarà proprio la stirpe di Caino a costruire le prime città. Caino, dunque, agricoltore costretto all’erranza, darà inizio alla vita sedentaria, intrecciando così entrambe le origini, nomadica e stanziale. Le due civiltà presentano fin dall’inizio caratteri opposti, ma anche complementari: fra agricoltori e pastori si stabilisce un rapporto di reciprocità, uno scambio continuo fra le proprie economie. Ma, soprattutto, la nascita stessa della città e la sua sopravvivenza si fonda proprio sull’intreccio di erranza e stanzialità: anche il mito della Genesi individua nella dialettica fra stare e andare oltre, fra stasi e movimento, una tensione decisiva per la città.

Da sempre queste due dimensioni sono state legate. Ma oggi, in maniera assai evidente, nella città spazi nomadi e spazi sedentari si combinano insieme, poiché vivono gli uni accanto agli altri. Lo spazio sedentario è più denso, più compatto e quindi pieno; quello nomade è più rarefatto, più fluido e quindi vuoto: la città nomade vive all’interno di quella sedentaria, se ne lascia attraversare, cresce sulle sue lacune. [...]

Ben presto l’atto del camminare, da risposta ai bisogni primari, diventa forma simbolica che permette agli uomini di abitare il mondo: da un uso strumentale del territorio legato alla sopravvivenza alimentare a un’attribuzione di significati e di valori. Camminare non è la costruzione fisica di uno spazio. Tuttavia, comporta una trasformazione dei luoghi e una continua assegnazione di significati ai luoghi stessi e alle pratiche che li riguardano: è dunque atto percettivo e atto creativo, gesto conoscitivo e performativo, lettura e scrittura del territorio.

Percorrere lo spazio era nell’antichità una modalità estetica per abitare il mondo prima che gli uomini si dedicassero alla progettazione e alla costruzione di luoghi fisici simbolici. All’erranza erano legate la religione, la musica, ma anche la danza e il racconto.4 Ma in cosa consiste l’atto del camminare? Si tratta di un movimento in cui mente, corpo e mondo sono in tensione e alla ricerca di un dialogo possibile. È il mezzo e il fine, il viaggio e la meta. È un’esperienza insieme intellettuale e sensoriale: un modo di costruire il mondo e vivere in esso. In ogni tempo il camminare ha prodotto architettura e paesaggio. Questa pratica, dimenticata dagli stessi architetti, è stata presto ripristinata e vivificata da poeti, filosofi e artisti. Camminare è un gesto simbolico con cui trasformare il paesaggio.

Anna Lazzarini*

Il testo è stato pubblicato per gentile concessione di Sellerio editore

*Anna Lazzarini, laureata in filosofia presso l’Università di Milano, ha conseguito il dottorato in Antropologia ed Epistemologia della Complessità presso l’Università di Bergamo, dove attualmente svolge la propria attività di ricerca.

 

 

 

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