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Salice e Olmaria: con Brain Clegg alle origini (naturali) dell’aspirina

luglio 8, 2014 Racconti d'Ambiente, Rubriche

L’aspirina è uno dei simboli della medicina convenzionale (quella “di sintesi”). Eppure, anche in quel caso, la ricetta è venuta da madre Natura. Nel libro “L’Universo dentro di noi”, da poco pubblicato da Dedalo edizioni, il divulgatore scientifico inglese Brian Clegg racconta il corpo umano come osservatorio e laboratorio per l’esplorazione di meraviglie scientifiche, che vanno dal DNA dei nostri geni fino ai processi di fusione nucleare che avvengono nel Sole. In questa lunga dissertazione scientifica che spazia dalla biologia alla chimica, dalla fisica quantistica alla cosmologia, Clegg si sofferma anche su come le sostanze chimiche agiscono sul nostro organismo. Per la rubrica “Racconti d’Ambiente”, pubblichiamo oggi un estratto del quinto capitolo “In marcia sullo stomaco”. Il paragrafo si intitola “La medicina dei vincitori”.

Un altro esempio di qualcosa che diamo per scontato e che invece si rivela avere un effetto importante su cervello e corpo riguarda il trattamento erboristico a base di corteccia di salice e di estratto della pianta di olmaria (nota anche come Spiraea olmaria). Questi estratti venivano utilizzati per la cura del mal di testa, per le febbri e le infiammazioni già nel 200 a.C., come riportato in una ricetta risalente ai tempi della terza dinastia sumera di Ur. Erano antidolorifici già in voga all’epoca.

Nel XVIII secolo, un equivoco rese la corteccia di salice ancora più richiesta. La corteccia peruviana o «china», da cui si estrae il chinino,veniva già utilizzata per trattare malattie mortali come la malaria, ma era molto costosa. La corteccia di salice allora venne suggerita come sostituto a poco prezzo, sulla base di informazioni piuttosto confuse. Infatti, tutto quello che la corteccia di salice riesce a fare è attenuare i sintomi della malaria, mentre il chinino ha un effetto molto più forte. Tuttavia, questo errore fu sufficiente per garantire un utilizzo via via sempre più diffuso della corteccia di salice.

L’unico problema del suo utilizzo come farmaco è che mette a soqquadro lo stomaco. L’ingrediente attivo, che ora sappiamo essere l’acido salicilico, può essere stato d’aiuto per sconfiggere mal di testa, febbre e altri malanni, ma in cambio danneggiava alcuni processi digestivi, provocando dei dolori acuti nello stomaco e addirittura dei pericolosi sanguinamenti da questo organo.

Nel 1899, l’azienda chimica tedesca Bayer trovò una soluzione parziale a questi problemi. Un derivato dell’acido salicilico, detto acetilsalicilico, presentava gli stessi effetti benefici, ma si rivelava più gentile per lo stomaco. La chiamarono «aspirina», abbreviazione del nome tedesco del composto, acetylspirsäure. Divenne uno dei prodotti di maggior successo per la Bayer, insieme al loro antitosse più popolare, l’eroina! E il nome «aspirina» era protetto e quindi poteva essere usato solamente dalla Bayer stessa. Oggi, invece, è un nome generico utilizzato in alcuni Paesi, tra i quali il Regno Unito e, strano a dirsi, questa diffusione fu il risultato di un trattato che pose fine a una guerra.

Parliamo del Trattato di Versailles, firmato il 28 giugno del 1919. Elencava nel dettaglio gli indennizzi che la Germania fu obbligata a rispettare alla fine della Prima Guerra Mondiale. In questo trattato fondamentalmente si trovavano tutte quelle cose che vi aspettereste in un trattato di guerra: definizione di confini, restrizioni su futuri sviluppi di arsenali militari, pagamenti finanziari e rifornimenti per l’industria pesante. Ma nel mezzo, insieme a queste grandi questioni, si parlava dell’utilizzo del nome «aspirina». Mentre in Germania (e in altri ottanta Paesi nel mondo) l’aspirina apparteneva ancora come marchio all’azienda Bayer, nel trattatosi stabilì che poteva essere utilizzata da chiunque nel Regno Unito e in altre importanti nazioni. Potrebbe sembrare assurdo che un dettaglio così irrilevante fosse incluso in un trattato di tale importanza, ma entrambe le parti coinvolte erano state afflitte dalla terribile pandemia di influenza spagnola che si era diffusa fino alla fine della guerra, e l’aspirina si era rivelata vitale per la riduzione delle febbri. Aveva rappresentato una vera e propria rivoluzione medica.

Per più di cinquant’anni l’aspirina rimase un farmaco enormemente importante. Quando ero bambino era ancora l’unico antidolorifico da banco diffuso. Ma negli anni ’70 fu messo da parte dal paracetamolo, più a misura di stomaco. Negli Stati Uniti venne chiamato acetaminofene, più conosciuto con i nomi commerciali di Panadol (prodotto dalla Bayer) e di Tylenol. Sembrò che l’aspirina sarebbe scomparsa, ma questo fu valido solo fino al momento in cui si scoprì che poteva essere d’aiuto anche nella prevenzione degli attacchi di cuore e degli infarti.

L’aspirina affievolisce i dolori e riduce le infiammazioni disabilitando un enzima chiamato cicloossigenasi. Gli enzimi sono speciali proteine che intervengono durante le reazioni chimiche nel corpo aumentandone, in genere, la velocità. Nel caso dell’enzima cicloossigenasi, la reazione che lo riguarda è la produzione di una coppia di ormoni che causano infiammazione e trasmettono un messaggio di dolore al cervello; l’aspirina funziona come un antidolorifico perché impedisce questa reazione. Inoltre, fu scoperto che l’aspirina riduce anche l’abilità di un composto chiamato trombossano di agglomerare piastrine nel sangue. Le piastrine sono le cellule che fanno coagulare il sangue verso le ferite, ma se esse si agglomerano all’interno delle vene possono bloccare il flusso sanguigno,causando un attacco di cuore o un infarto. Una dose lieve di aspirina, protratta a lungo termine, è diventata una pratica diffusa per diminuire il rischio di tale eventualità.

Questo nuovo utilizzo dell’aspirina ha rinvigorito le fortune del farmaco: ogni anno se ne consumano circa 35.000 tonnellate.

Brian Clegg*

* Celebre e prolifico divulgatore scientifico inglese. Dopo una formazione come fisico sperimentale, si è dedicato alla comunicazione della scienza per il grande pubblico. Ha scritto numerosi saggi, già tradotti in molte lingue, e collabora con la BBC.

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