Wineleather: la similpelle diventa vegetale con il recupero delle bucce d’uva
Il vino, la moda, il design e la pelle. Quattro eccellenze del Made in Italy unite e rivisitate in chiave e filosofia sostenibile da un architetto che punta le sue carte imprenditoriali sulle proprietà delle bucce e degli acini d’uva. Fibre che Gianpiero Tessitore, architetto milanese di 37 anni, con il socio e chimico Francesco Merlino, vuole trasformare in similpelle vegetale per borse, divani e infiniti altri manufatti e oggetti di design.
L’idea, che ha preso forma nella società VegeaWineleather, sembra decisamente rivoluzionaria e ha conquistato gli esperti della Fondazione H&M, che oltre ad assegnarle il prestigioso premio Global Change Award ha scucito ben 300.000 euro per supportarne lo sviluppo. Un riconoscimento concreto, di valore internazionale – sono cinque i vincitori scelti tra proposte arrivate da tutto il mondo – e assegnato da una multinazionale che crede sempre più ad una riconversione sostenibile della moda.
Sarà, quindi, color vinaccia il futuro della conceria, un’ industria con radici millenarie ma che ancora oggi, soprattutto nei Paesi con una scarsa cultura ambientale, ha un impatto devastante sull’ambiente e sulla salute dei lavoratori e dei cittadini. Basti pensare ai fiumi e ai terreni inquinati da sostanze pericolose e nocive. “Se in altri settori si sperimentano materiali alternativi per produzioni sostenibili – come la canapa nella bioedilizia – nella lavorazione della pelle c’è tanto da fare”, sottolinea Tessitore che ricorda un altro dei vantaggi ambientali della similpelle di origine vegetale: oltre ad essere cruelty free nei confronti degli animali “non si utilizzano nemmeno materie sintetiche“. Niente petrolio, niente chimica.
Si tratta di un chiaro esempio di economia circolare – non si inquina e non si spreca – perché “partiamo dai derivati di una materia prima naturale, senza dover impiantare nuove piantagioni”. Dunque, ribadisce Tessitore, non si consuma nemmeno nuovo terreno agricolo.
Guai però a chiamare la vinaccia “scarto”. Per il fondatore di VegeaWineleather ”il termine non mi piace perché la vinaccia è una risorsa“. I residui della lavorazione del vino, si sa, sono beni preziosi. E abbondanti, secondo i dati OIV, citati dall’architetto milanese: “nel mondo si producono 26 miliardi di litri di vino. Da questo processo produttivo possiamo ricavare quasi 7 miliardi di kg di vinaccia”. E per l’ Italia, grande produttore di vino, è oro che cola. In particolare per il mondo agricolo.
Con i 300.000 euro del premio i due imprenditori puntano ora ad integrare il brevetto, “entro l’inizio del 2018“, ed entrare nel mercato attraverso “una partnership con una grande cantina e un brand del fashion internazionale”. Traguardi da tagliare dopo un duro lavoro, “iniziato nel 2014 e sviluppato all’Università di Firenze“, poi incubato nel Progetto Manifattura del polo di Trentino Sviluppo.
Oltre l’auspicato successo imprenditoriale i soci sperano anche che il modello migliori non solo l’ambiente ma anche la salute dei lavoratori. “Il modello attuale, in particolare nei Paesi con meno controlli - aggiunge Tessitore - non è sostenibile neanche dal punto di vista sociale, viste le condizioni degli operai impiegati in questo settore“.
Se prenderà piede la similpelle vegetale, oltretutto, anche le industrie tradizionali potranno “riciclarsi”: “Utilizzeremo gli stessi strumenti, macchinari e competenze presenti nel settore conciario - precisa ancora il fondatore – Non a caso abbiamo dimostrazioni di interesse da parte di concerie e produttori di pelli sintetiche. E l’Italia ha forti potenzialità nel settore perché siamo già strutturati. Abbiamo una tradizione”.
Più che di distruzione creativa, si può quindi parlare di conservazione innovativa, integrazione, trasformazione e valorizzazione del tessuto produttivo esistente. E per gli animalisti la buona notizia: poter sostituire la pelle animale con quella vegetale, senza dover rinunciare a borse e cinture di origine naturale.
Gian Basilio Nieddu