Cittadellarte fashion
Martedì 25 settembre 2009, nella splendida cornice della Fondazione Pistoletto a Biella si è tenuta l’inaugurazione del progetto Cittadellarte Fashion – Bio Ethical Sustainable Trend.
La Working Conference ha aperto la giornata. Allo stesso tavolo: arte-moda-ecologia, rappresentate da Michelangelo Pistoletto (artista e fondatore di Cittadellarte), Franca Sozzani (direttore di Vogue Italia) e Charlotte Casiraghi, Alexia Niedzielski, Elisabeth von Guttman (ideatrici della nuova testata di eco-moda Ever Manifesto). Con loro Paolo Zegna e Walter Santagata, rispettivamente vice presidente di Confindustria e Professore di economia della cultura presso l’università di Torino.
A dare il via al dibattito, l’intervento di Michelangelo Pistoletto il quale, tredici anni dopo la mostra “Habitus, Abito, Abitare” al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato, torna ad interessarsi di moda aprendo le porte a una prospettiva di eco-sostenibilità. L’incontro tra estetica ed etica, arte e impegno sociale prende simbolicamente forma nell’opera “Terzo Paradiso”, dove Paradiso Naturale e Artificiale si intersecano dando vita ad una nuova dimensione in cui l’agire umano, regolato da una coscienza etica, porta l’Artificio a riconciliarsi con la Natura. Concretamente il progetto della Fondazione Pistoletto intende creare un’officina dove produttori e designer si incontrino per creare oggetti artistici con i materiali d’eccellenza offerti dall’industria tessile Biellese.
L’argomento è stato approfondito da Franca Sozzani, veterana della moda, che ha sottolineato come l’incontro tra arte e moda sia qualcosa di consueto (come ben dimostrerà la performance nel pomeriggio), mentre la novità del progetto è legata proprio all’inserimento di un terzo elemento: la sostenibilità. In un momento in cui il pubblico è generalmente concentrato su estetica e prezzo, occorre portare avanti una grande opera di sensibilizzazione sia nei confronti del consumatore, che degli stessi designer che spesso vedono nell’eco-sostenibilità un vincolo al processo creativo. Questo cambiamento non è affatto utopico, anche se il limite restano i tempi necessari per un processo epocale: “Il mondo della moda deve capire che c’è qualcosa di più importante dell’apparire ed è salvare il pianeta in cui stiamo vivendo”, conclude la Sozzani.
A seguire, la principessa Charlotte Casiraghi, insieme con le due giovani co-fondatrici, ha presentato in anteprima Ever Manifesto. Perfettamente in tema con gli obiettivi del progetto, la testata si pone come mezzo concreto per la sensibilizzazione del grande pubblico fornendo spunti per soluzioni eco-sostenibili. Basta leggere la copertina del primo numero per riassumerne la filosofia: “Fashion is change and reinvention. Sustainability is just the next step. Break the rhythm of fashion. March to a new drum.” (“La moda è cambiamento e rinnovamento. La sostenibilità è solo il passo successivo. Rompi il ritmo della moda. Marcia su un nuovo battito.”). Il nuovo ritmo è giovane e verde e l’eco-sostenibilità entrerà a far parte del mondo della moda solo nel momento in cui diventerà moda lei stessa.
In conclusione della Working Conference, il Prof. Santagata ha tirato le fila teoriche del progetto analizzando come la moda segua oggi due trend: l’industria del lusso di massa e l’eco-fashion.
Il primo, enormemente più seguito del secondo, è la naturale conseguenza dello sviluppo di un mercato che seduce i consumatori attraverso innovazioni di stile e di gusto: chi sceglie un brand sceglie di indossare un’identità che difficilmente va al di là dell’estetica. La delocalizzazione è legata soltanto alla distribuzione e il sistema favorisce quasi esclusivamente la parte bassa della filiera produttiva. Inoltre, cosa si nasconda dietro la produzione di questi capi poco interessa al pubblico di massa, pur trattandosi molto spesso di gravi violazioni dei diritti umani e del lavoratore (sfruttamento del lavoro minorile, salari irrisori, orari disumani e condizioni igieniche e di sicurezza precarie).
Al secondo trend, invece, appartiene quella fetta di mercato sensibile alle tematiche etiche e sociali. Qui l’importanza della firma del designer supera quella del brand, la scelta dei materiali impiegati e del packaging sono attente al rispetto dell’ambiente. Conciliare qualità e quantità supera la barriera dell’utopia divenendo un obiettivo sul lungo periodo per case di moda e consumatori. Naturalmente, come già aveva fatto notare la Sozzani, questo processo necessità di tempo per attecchire sui grandi numeri e necessita dell’aiuto di organismi di controllo internazionali, riconosciuti ed efficaci, al momento pressoché inesistenti. La governance diverrà tanto più agevole tanto più le modalità di produzione saranno monitorabili e sanzionabili.
E’ Paolo Zegna a concludere la mattinata auspicando un cambio di direzione nel quale il termine “qualità” prenda il posto di “lusso” e il made in Italy diventi sinonimo di valori che, usando le parole di Santagata, siano riconducibili al secondo trend. Questo favorirebbe industrie tessili più piccole, come quelle popolano i territori di Biella e di molte altre parti d’Italia, messe a dura prova dalla grande distribuzione e dal mercato di massa.
La seconda parte della giornata vede protagonisti diretti undici giovani stilisti da tutto il mondo che, a partire da giugno 2009, hanno collaborato con industrie tessili del biellese per produrre capi con il solo utilizzo di fibre naturali.
Con una coreografia della torinese Doriana Crema e in un suggestivo pot-pourri di fili, stoffe e gabbie, i modelli-ballerini presentano le undici creazioni. Sovrasta la performance un’enorme versione del Terzo paradiso, a ricordare che una via alternativa è possibile anche per lo spietato mondo della moda.
Giulia Novajra