Le due vite dell’Alpetto: il primo rifugio della storia d’Italia ai piedi del Monviso.
“Il Monviso è lo stendardo del Piemonte” scriveva Cesare Balbo. La montagna più alta delle Alpi Cozie si può contemplare comodamente dalla Valle Po, presso il Rifugio Alpetto, primo rifugio della storia d’Italia.
Se oggi assistiamo al fenomeno di massa di un’everestmanìa galoppante, con conseguenze ambientali preoccupanti, ci fu agli albori dell’alpinismo vera monvisomanìa (roba per pochi scalatori coraggiosi), seguita da inevitabile “mal di Viso”. Me lo immagino il leggendario “Farina”, ovverosìa Claudio Perotti, guida alpina ante litteram, artefice di 517 scalate, che si cruccia alla fine del Secolo XIX, pensando: “mi fa male il Viso.”
Gli “scalatori” della seconda metà dell’Ottocento che, con corda e piccozza, tentavano le cime alpine furono stregati dalla possanza del “Re di Pietra”.
Incantavano non solo i suoi 3.842 metri sul livello del mare, ma anche i suoi 2.062 di prominenza, la sua forma piramidale rocciosa, il suo essere così visibile dalla pianura. E’ ancora Balbo a scrivere: “[…] è per ognuno di noi come per il contadino il campanile del villaggio, veduto ogni giorno ad ogni ora, ai raggi del sole, al lume della luna, mirato e consultato ad ogni mutazione del tempo.”
Dopo le prime eroiche salite, maturò la volontà di un punto di ricovero e bivacco intermedi per rendere meno proibitiva l’ascesa alla vetta lungo la parete Sud del Viso.Venne individuata una zona presso l’alpeggio dell’Alpetto, a quota 2.648, come luogo congeniale. Nel 1866 venne ultimato un piccolo ricovero che oggi definiremmo incustodito, consistente in due locali: uno con stufa, tavolo e l’indispensabile per cucinare,l’altro con due tavolati sovrapposti sui quali giacevano due pagliericci per dormire.
Oltre agli alpinisti che via via ebbero a utilizzarlo, pastori e margari della valle si occupavano della cura e della manutenzione del ricetto. Successivamente altri ricoveri furono costruiti, fino al più grande e moderno rifugio Quintino Sella del 1905 che portò al disuso totale del piccolo ricovero. Fine della prima vita dell’Alpetto.
Dal paese di Oncino (CN), si cammina tra le borgate, costeggiando la destra orografica del rio Alpetto, fino a raggiungere la borgata di Meire Decant (1640m). Dall’ultimo spiazzo della borgata, prende via il sentiero per il Ricovero Alpetto, indicato a due ore di marcia. Qui in valle la giornata è di quelle che spesso sollazzano il Re di Pietra: volubile, tra nebbia, pioggia vaporosa e discontinui e bellissimi squarci di sole. Il sentiero ben segnato si snoda tra versanti, pianori, conche, piccoli avvallamenti, con all’orizzonte le cime aggittanti del Gruppo del Viso a fare corona, per uno scenario unico nel suo genere. Poi si sale tra le rocche, senza pericolo.
Il falsopiano che precede il rifugio è un piccolo spettacolo fluviale. Una raggiera d’arterie d’acqua che scendono a valle attraverso il verde manto erboso. L’ultima rampa spalanca la vista a un caseggiato in pietra e lose di medie dimensioni, sviluppato su due piani. Eccolo, il nuovo Rifugio Alpetto. Alla fine degli anni Novanta del Secolo scorso, il vecchio ricovero fu risistemato a dalla Sezione del C.A.I. di Cavour, e poco più a valle fu edificata una nuova struttura d’accoglienza, nel pieno rispetto della filosofia del capostipite, aggiornata ai tempi della ricezione turistica e sportiva. Duecento metri più in alto, affacciato sul grazioso lago dell’Alpetto, continua a vivere anche l’antico ricetto che ospita ora il Museo dell’Alpetto: una micro-struttura museale, tesa a ricostruire la storia degli albori dell’alpinismo e a conservare la memoria non solo fotografica ma morfologica e funzionale del vecchio ricovero. La seconda vita del rifugio Alpetto continua di rimpetto alla memoria della propria storia e della storia dell’alpinismo italiano.
Orlando Manfredi
Playlist:
- Cime domestiche di Paolo Benvegnù, Monica Demuru, Petra Magoni, Ares Tavolazzi, 2007, Fandango.
- Enrico Camanni, la metafora dell’alpinismo, 2010, Liaison Editrice.