E’la burocrazia bellezza! Viaggio nei meandri dei Decreti sulle rinnovabili
Dopo il tempo delle bozze - secondo prassi ormai consolidata, l’adozione di un provvedimento da parte del Governo è preceduta dalla diffusione di bozze più o meno ufficiali, quasi a voler sondare il terreno – i testi definitivi dei decreti sulle rinnovabili elettriche sono arrivati. L’attuazione del Decreto Legislativo n. 28/2011 sugli incentivi alle rinnovabili non ha fatto eccezione; in questo il nuovo Governo “dei tecnici” non si discosta da quello che lo ha preceduto.
Una novità nella tecnica legislativa però c’è: l’apparizione dei consideranda iniziali. E non si tratta di una mera formalità, perché in questo preambolo al testo il Governo fornisce alcune indicazioni sostanziali:
- la definizione di un indice di priorità delle tecnologie da incentivare (minor costo unitario, maggiori ricadute sulla filiera industriale, minor impatto ambientale e sulla rete);
- un richiamo alla semplificazione e alla stabilità del sistema di incentivazione che consenta uno sviluppo “nuovo, più virtuoso” del mercato, coerente con gli obiettivi prefissati e che non ponga oneri eccessivi in capo ai consumatori;
- un altro richiamo sulla necessità di sviluppare le fonti termiche e l’efficienza energetica ritenute “modalità economicamente più efficienti” .
Nella versione del finale del decreto poi sono stati eliminati alcuni punti spinosi, quali l’aggiornamento dell’obiettivo del PAN (il Piano d’Azione Nazionale) a 140 TWh, lasciando la sola indicazione che la produzione rinnovabile potrebbe rappresentare il “32%-35%” dei consumi elettrici totali (la forchetta inizialmente era del 32%-40%). Ed è stato anche rimosso qualsiasi riferimento ai meccanismi di flessibilità e all’importazione di elettricità da fonti rinnovabili dall’estero.
Il testo, insieme al decreto sul Quinto Conto Energia per il fotovoltaico, che sarebbe dovuto essere esaminato dalla Conferenza delle Regioni, con l’espressione del previsto parere, il 9 maggio è slittato a fine alla fine del mese e la versione definitiva dei due decreti (quello sulle rinnovabili e quello sul quinto Conto energia) si avrà dunque a ridosso della data prevista per l’indizione della prima asta (il 1° luglio). La cosa, in tutta evidenza, non fa che aggravare la situazione di incertezza in cui si trovano gli investitori.
Ma il Decreto soddisfa le condizioni che il Governo stesso ha posto? Quali prospettive offre al settore?
Una prima considerazione è che continua la latitanza del mercato o, meglio di un vero mercato. Si introducono, infatti, elementi di rischio di mercato che però sono ben poco gestibili e controllabili dall’impresa: dall’accesso stesso al regime di incentivazione alla modalità di calcolo del premio che pone non poche incognite. Il mercato è assente perché ancora una volta si premiano gli insider, coloro che conoscono le procedure, le regole formali piuttosto che le nuove iniziative o l’innovazione.
In questo senso, a nostro modesto avviso, il decreto non fa nulla per semplificare, ma introduce un ulteriore livello di burocrazia e questo è ben esemplificato dalla documentazione richiesta per l’iscrizione ai registri: perché chiedere una relazione tecnica, copia del progetto definitivo, copia del titolo autorizzativo e copia della soluzione di connessione elettrica accettata e una dichiarazione giurata del rispetto delle condizioni di non cumulabilità degli incentivi?
L’avere ottenuto un’autorizzazione non dovrebbe già essere la condizione sufficiente per stabilire la rispondenza dell’impianto alla normativa e quindi all’accesso agli incentivi? Il progetto definitivo non include già le informazioni tecniche necessarie per la valutazione dell’impianto? Perché chiedere un’apposita “dichiarazione giurata” che è stata definita da un autorevole commentatore quale Salvatore Giacchetti, Presidente di Sezione del Consiglio di Stato: «un inutile aggravamento del procedimento» che «crea, per la sua scarsa definizione sul piano formale, una serie di dubbi e di difficoltà applicative pratiche, che incentivano un contenzioso meramente formalistico»?
Questa documentazione potrebbe essere richiesta (o non chiesta affatto se già in possesso della pubblica amministrazione) solo dopo l’approvazione dell’accesso al regime incentivante, in fase preliminare, invece, basterebbero delle dichiarazioni (autocertificazioni) da parte del richiedente, come del resto viene già fatto per quanto riguarda gli appalti.
A tal proposito a chi scrive è tornata in mente l’ottava fatica di Asterix nel lungometraggio “Le dodici fatiche di Asterix”, quella de “La casa che rende folli”, dove per un’interminabile serie di rimandi, formulari, bolli e certificati – la burocrazia – i nostri rischiano, per l’appunto, di diventar pazzi.
E, infatti, sempre sul piano dell’efficacia ed efficienza, meritano attenzione “le procedure pubbliche d’asta in modalità telematica”; il DM precisa che il GSE, scaduti i termini di presentazione delle offerte, ha 60 giorni di tempo per comunicare la graduatoria. La domanda sorge spontanea: perché 60 giorni per una procedura che dovrebbe essere automatica in quanto non sono consentiti dei rilanci? Cosa peraltro tipica in un’asta elettronica e primo elemento da introdurre se davvero si volessero minimizzare i costi.
Anche in questo caso è spontaneo il parallelo con l’asta elettronica prevista dalle norme in materia di appalti: ai soggetti le cui offerte sono ritenute ammissibili dovrebbe essere consentita la possibilità di presentare simultaneamente, per via elettronica, nuovi prezzi e/o valori e che “nel corso di ogni fase dell’asta elettronica, le amministrazioni aggiudicatrici comunichino in tempo reale, a tutti gli offerenti, almeno le informazioni che consentano loro di conoscere, in ogni momento, la rispettiva classificazione”.
Allo stesso modo non ci si capacita, infine, dei 90 giorni per presentare le offerte (30 i giorni di pubblicazione del bando prima dell’inizio dei termini, 60 i giorni in cui è possibile avanzare offerte), dato che le tariffe a base d’asta, così come le caratteristiche dell’impianto (autorizzato) e dell’offerta, sono definiti dal decreto. Così, una procedura che potrebbe durare qualche giorno, un paio di settimane al massimo, mettendo in fila i tempi previsti dal decreto finisce per protrarsi per mesi – senza contare gli inevitabili ricorsi.
Viene da pensare che il decreto, così com’è, sia più che altro un modo per consentire di assorbire lo stock di impianti a progetto. Come dice la nota canzone: chi ha avuto, ha avuto, ha avuto… chi ha dato, ha dato, ha dato… e – almeno per qualche anno – scordamose pure ‘o futuro.
Niccolò Cusumano e Antonio Sileo*
*IEFE Bocconi