Nucleare: perchè non mi convince
Mi inserisco nel complesso e difficile dibattito sul nucleare in punta di piedi, per condividere qualche riflessione come professionista della comunicazione, stimolato dalla “campagna” in corso e da alcuni “speciali” di approfondimento, che segnano un particolare interesse editoriale al tema. Che sia in corso una campagna di comunicazione ad ampio raggio e intensità, che mira a posizionare il nucleare nel novero delle energie pulite è infatti, a mio avviso, piuttosto evidente, pur non essendoci sempre un committente unico e ben definito.
Ma dirò di più (voglio confessare l’incofessabile): la mia percezione è che si stia creando un’inedita(inconsapevole?) alleanza tra nuclearisti e teorici dei cambiamenti climatici… Intendiamoci: l’importanza di intervenire per prevenire cambiamenti climatici potenzialmente devastanti, attraverso la riduzione delle emissioni, è sostanzialmente accettata da tutti. Ma il mio timore è che l’enfasi che alcuni pongono su questo aspetto (non certo l’unico né forse quello prioritario per la difesa dell’ambiente) porti, per conseguenza logica, verso scelte solo apparentemente inevitabili. Ovvero: se la priorità assoluta per l’ambiente è la riduzione della CO2 (a parità di consumi), non esiste forse altro sistema che il nucleare.
Ma siamo sicuri che sia il modo corretto di affrontare il problema? Non vedo francamente nei politici italiani (e nemmeno in molti stranieri, a dire il vero) una reale, concreta volontà di cambiare il sistema, di puntare seriamente sul risparmio e l’efficienza energetica come elemento preliminare, di passare dalla cosiddetta generazione concentrata in pochi impianti ad una generazione distribuita, che si avvalga delle reti intelligenti, della mini e micro generazione e di fonti rinnovabili diffuse sul territorio. Una dichiarazione pro-rinnovabili non la si nega a nessuno – fa fine e non impegna – ma c’è veramente la disponibilità a rivedere l’attuale modello economico attraverso la lente della green economy e dello sviluppo sostenibile?
Il nucleare – senza entrare nel merito della tecnologia - pare un’idea “vecchia” come impostazione della soluzione, nel senso che non cambia nulla dell’attuale modello produttivo, ma parte anzi dall’assunto che il fabbisogno energetico sia (debba essere) in costante crescita e strizza l’occhio agli industriali con la promessa di un minor costo del kilowattora e dunque maggiori margini di profitto. Nulla di male a pagare meno l’energia e guadagnare di più, ci mancherebbe, ma forse le imprese dovrebbero imparare a stare sul mercato per qualità e innovazione di prodotto e di visione (inclusa la sostenibilità come asset strategico), più che per ipotetici risparmi sulla bolletta, di cui l’intera collettività rischia di dover pagare il prezzo.
Dico ipotetici perchè la convenienza economica del nucleare – uno dei key messages della campagna di comunicazione in corso – non pare così scontata. Per usare le parole di Luca Iezzi, autore di un’equilibrata analisi nel libro ”Energia nucleare? Sì, grazie?, “Gas e carbone sono più economici e flessibili, dunque l’atomo acquista una sua funzione solo se ci si impegna a ridurre le emissioni di Co2. Tanto più l’anidride carbonica avrà un prezzo da aggiungere al kwh prodotto da idrocarburi o carbone, tanto più il nucleare diventerà indispendabile“. Un’analisi semplice e intuitiva che ci è confermata da un ricercatore dello IEFE Bocconi (che preferisce mantenere l’anonimato) e che ci riporta all’inconfessabile pensiero di partenza sulla “strana coppia”. E il decommissioning degli impianti a fine ciclo? E il problema dello stoccaggio delle scorie? Vengono o no calcolati nei costi?
Greenews.info fa dell’indipendenza dell’informazione e della libertà di dibattito tra posizioni anche opposte un punto di orgoglio ma, quando si vedono nelle edicole o sul web, speciali che promettono di raccontare i “pro” e i “contro” del nucleare secondo una proporzione di 10 a 1, con florilegi di dichiarazioni ottimistiche e “scientistiche” unidirezionali, ci sentiamo ”istituzionalmente” in dovere di dar voce a quella maggioranza silenziosa di cittadini (72%) che la centrale non la vorrebbe – né sotto né lontano da casa. E anche di utilizzare, come immagine, un fotogramma dei Simpson. Anche questa è comunicazione.
Andrea Gandiglio