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Parola agli amministratori, terza puntata: Vincenzo Baio, Assessore all’Ambiente di Taranto

novembre 13, 2014 Nazionali, Politiche

Proseguono le conversazioni di Greenews.info con gli amministratori locali delle principali città italiane. Oggi Ilaria Donatio ha incontrato l’Assessore all’Ambiente di Taranto, Vincenzo Baio: medico presso il quartiere Tamburi, periferia nord-occidentale della “città dei due mari” e sede dello stabilimento Ilva, l’acciaieria più grande d’Europa. Tutte le interviste saranno pubblicate sulla pagine Twitter Facebook di Greenews.info, dove chiunque potrà commentare o integrare le informazioni ricevute.

Sulla base dei primi dati emersi, nei giorni scorsi, dal report stilato dal Dipartimento AIA dell’Ilva al 30 ottobre 2014, Ilva avrebbe eseguito 87 attività delle 92 che scadono a luglio 2015, ma di queste solo 21 sono opere “strutturali”, le meno impegnative. Il report riferisce che il numero totale di attività del Piano Ambientale da ottemperare entro agosto 2016 è di 160, 75 gestionali ed 85 impiantistiche. Entro luglio 2015, va completato l’80% dei lavori: 115 attività, 73 gestionali e 42 impiantistiche, lasciando all’ultimo anno gli interventi più impegnativi. Restano dunque ancora sulla carta i progetti più importanti da realizzare e più costosi, come la messa in regola della disciplina delle acque e la copertura dei parchi minerali, attualmente solo in fase di progetto. Ma la rapidità di esecuzione dei lavori AIA (l’Autorizzazione Integrata Ambientale) dipende anche dai fondi a disposizione e dai tempi con cui la magistratura milanese riuscirà a recuperare il tesoro dei Riva, sequestrato lo scorso anno.

D) Assessore, partiamo dall’attualità: lei avrà sicuramente letto il report del Dipartimento AIA dell’Ilva sullo stato di avanzamento dei lavori di adeguamento dell’impianto… Si calcola che il 75% degli interventi dell’autorizzazione integrata ambientale sia stato ottemperato, per una spesa di circa 500 milioni. Qual è il suo giudizio?

R) Conosco bene l’argomento. Ma devo ammettere un disagio: sono ancora ai valori della vecchia lira e quando le cifre in euro superano un certo numero di zeri, perdo completamente l’orientamento… Dunque preferisco non entrare nel merito dei soldi spesi. Ho partecipato però ad alcuni tavoli istituzionali man mano che i diversi livelli di governo decidevano delle sorti dello stabilimento (e dunque anche della città): l’autorizzazione integrata ambientale contiene prescrizioni importanti. Se come Città di Taranto avessimo avuto la possibilità con una consultazione popolare, cinquant’anni fa, di scegliere quale insediamento industriale ospitare sul territorio, la storia sarebbe andata diversamente (pur considerando che eravamo sprovvisti, all’epoca, di una cultura ambientalista come quella di oggi). I destini economici della popolazione, da un certo momento in poi, hanno coinciso completamente con quelli dello stabilimento, che ha smembrato i vecchi mestieri legati all’agricoltura. Oggi ci sono dieci-dodicimila persone che lavorano all’Ilva, dodicimila posti di lavoro (escluso tutto l’indotto) che ci fanno concludere che non è possibile pensare a Taranto escludendo dalla sua economia, Ilva e il suo destino. Non abbiamo alternative perché Nembo Kid non esiste… Quello che invece è possibile fare, è esigere di vedere attuate alcune prescrizioni che rendano compatibile il diritto alla salute (sia all’interno dell’industria, di chi ci lavora, sia all’esterno, degli abitanti che vivono soprattutto nelle zone limitrofe) con quello al lavoro. L’obiettivo del nostro lavoro è fare in modo che ci sia un “inquinamento controllato” ed evitare di superare i parametri che secondo le normative vigenti sono da considerarsi tossici. La Regione Puglia si è data una legge anti-diossina – che fissa valori limite stringenti per l’emissione di diossina, utilizzando un’unità di misura non contemplata dalla legislazione italiana e che tiene conto della tossicità della diossina emessa – e una legge regionale anti BaP (benzoapirene), che fissa il valore di un nano-grammo per metro cubo di aria.

D) Chiaro, ma ripercorriamo un po’di storia, come nasce il quartiere Tamburi?

R) Tamburi nasce intorno agli Anni ’50. Un quartiere nazionalpopolare (abitato oggi da circa 20mila persone) che, dopo la guerra e con l’insediamento e l’attivazione dei cantieri della Marina Militare, fu colonizzato dagli operai e dai dipendenti dell’Arsenale, mandati a vivere nelle case popolari. L’aspetto più interessante risiede nel fatto che a Tamburi è cresciuta, tra gli anni Sessanta e Settanta, tutta una generazione di professionistimedici, magistrati, professori –  figli di quegli operai. Ed è nel 1962 che venne insediato il primo stabilimento industriale, nato per produrre tubi d’acciaio, e chiamato appunto “tubificio”. Poi ci fu l’Italsider, negli anni Settanta, che, una volta privatizzata, divenne Ilva. Nello stesso periodo, avvenne l’insediamento della raffineria dell’Agip (oggi Eni) a cui si aggiunse anche il cementificio, che vive in simbiosi con lo stabilimento siderurgico, utilizzando la loppa, materiale di scarto degli altiforni, per la produzione di cemento. Mi preme sottolineare che non è la città ad essersi espansa verso la zona industriale, come ha sostenuto pubblicamente Enrico Bondi (ndr il commissario straordinario dell’acciaieria incaricato dal governo Letta di seguire il processo di risanamento e sostituito, a un anno dall’incarico, dal governo Renzi, che ha nominato Piero Gnudi) ma è accaduto esattamente il contrario: il polo industriale, come un’ameba, ha fagocitato Tamburi che è sempre lo stesso, con la sua forma circolare, le sue strade e le sue case.

D) Da medico cosa ha potuto osservare in tutti questi anni nel quartiere e in città?

R) Opero a Tamburi dal 1977: ci ho vissuto fino a trent’anni, e per scelta il mio ambulatorio è rimasto in questo quartiere, da 38 anni in tutto. Durante i primi dieci anni della mia attività professionale, mi è capitato un solo caso di patologia tiroidea di cui soffriva una donna anziana. Negli anni poi ho assistito ad un aumento esponenziale delle così dette tiroiditi autoimmuni, che coinvolgono pazienti sempre più giovani: ho un centinaio di casi. Un’altra osservazione è l’incidenza delle patologie tumorali: il benzo(a)pirene – sostanza tossica gassosa che deriva dalla combustione della cartina di produzione del coke – è immesso nell’atmosfera e si lega ad altre sostanze pericolose per la salute come le polveri dei parchi minerali (ne abbiamo per un’estensione pari a dieci campi da calcio!). Una delle prescrizioni dell’AIA è, infatti, proprio la copertura dei parchi minerali (attualmente solo in fase di progetto, NdR) perché il quartiere è attanagliato dalla dispersione di queste polveri che legandosi al benzo(a)pirene e alla diossina provocano patologie tumorali che interessano soprattutto polmoni, il grosso intestino, le stesse leucemie. Anche la diossina, sostanza che deriva dalla combustione, è tossica se assunta per vie alimentari: si deposita sul terreno, penalizzando agricoltori e allevatori (il valore massimo consentito è 2 ma è stato calcolato che i livelli di diossina nelle pecore erano pari a 200!).

D) Questa la sua esperienza da medico. Ma da politico, qual è stato il suo impegno come amministratore di Taranto?

R) Ho 64 anni e a 55 sono entrato in politica, eletto subito come consigliere nell’ambito di una lista civica poi confluita nel PD. Nella seconda  consiliatura, quella in corso da due anni e mezzo, sono stato il primo dei non eletti nel Partito Democratico e poi sono stato incaricato come Assessore all’Ambiente dal sindaco, Ippazio Stefano, tra l’altro, un pediatra molto bravo, con cui condivido l’etica della professione e quella della politica. La nostra Amministrazione, oggi, è molto rigorosa nell’opporsi ad ulteriori insediamenti industriali che comporterebbero un aumento dei livelli di inquinamento.

D) Ok, ma quale futuro immaginate per l’Ilva e Taranto, che già esiste?

R) Posso dire di essere un testimone delle due epoche: Taranto è una città bellissima, ricca di storia, che vanta un museo invidiabile, e sto cercando di valorizzarne la percezione, da Assessore all’Ambiente, tramite una serie di iniziative culturali. Alcuni giorni fa, ho accompagnato insieme ad alcuni volontari ambientalisti un gruppo di geologici, americani, australiani, giapponesi in una zona del Mar Piccolo ad ammirare i cosiddetti Citri, sorgenti di acqua dolce, carsica, che sboccano dalla crosta sottomarina e abbassano il livello di salinità del mare, ripulendolo dallo stupro commesso dai continui e duraturi sversamenti tossici da parte della Marina Militare. Un atlante a cielo aperto su cui quei geologi leggevano i diversi mutamenti del territorio; poi, la bellezza delle isole Cheradi - un piccolo arcipelago che chiude a sud-ovest la darsena del Mar Grande di Taranto – e il rinnovo della viticoltura, che stiamo cercando di incentivare. Purtroppo viviamo tutta una serie di emergenze che rendono il nostro lavoro sempre più difficile: il dissesto economico, ereditato dalle amministrazioni precedenti, azzerato in cinque anni faticosamente, quello ambientale, poi c’è la questione dell’accoglienza ai profughi. Non abbiamo pace, insomma…

D) Non mi ha risposto però… Come assessore all’ambiente su cosa sta lavorando, oggi? Quali sono i suoi progetti?

R) Quando mi viene posta questa domanda, provo una profonda delusione: il livello di intervento di un’amministrazione locale è pari a zero. Alludo proprio al potere politico che muove determinate decisioni: i giochi si fanno, ad esempio, a livello provinciale, quando si dà un’autorizzazione per costruire una discarica, ma soprattutto a livello regionale e ministeriale. Il nostro ruolo è di frontiera: siamo un po’ il bersaglio su cui i cittadini riversano malumori e frustrazioni. Il nostro ruolo è sempre stato di contribuire al lavoro dell’AIA: ad esempio, sono riuscito a ottenere, in una prescrizione di AIA, il ristoro di somme che l’Amministrazione ha anticipato per rafforzare la pulizia del quartiere che ospita Ilva, la scuola Deledda, invasa – soprattutto nei giorni di tramontana – dalle polveri tossiche che si alzano dai parchi minerali. Tempo fa, abbiamo emesso un’ordinanza di divieto di gioco, nelle aiuole cittadine, da parte dei bambini: ora sono partiti i bandi per bonificare la terra, che significa rimuovere 30 centimetri di terra, smaltirla in siti adatti e rimettere terra pulita (NdR, il cosiddetto capping, di dubbia efficacia secondo molti esperti). Naturalmente se avessimo la possibilità di cancellare Ilva, lo faremmo, ma questa possibilità non è realistica e l’unico modo per dare senso al nostro lavoro è lavorare per abbassare il più possibile i livelli di inquinamento. Azzerare non si può.

D) Oggi su cosa lavorerà?

R) Lei non ci crederà ma sono alle prese con il fenomeno del randagismo. O meglio, con un canile pubblico i cui “volontari” incassano 12mila euro al mese, scaricando anche le schede telefoniche. Calcolando tutto il randagismo ci costa un milione di euro l’anno…

D) Ma il problema, anche qui, non sono i cani ma gli uomini!

R) Certo, sono gli umani e io sono pronto a sporgere denuncia…

Ilaria Donatio

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