Giacomo, intimista e cautamente pessimista (senza essere Tafazzi)
Non chiamatelo basso. Lui è “diversamente alto”. Quanto? “Alto come un vaso di gerani”, come recita il titolo autoironico del suo primo libro, uscito per i tipi di Mondadori, un concentrato di racconti degli anni ruggenti della sua giovinezza, quei Sessanta-Settanta che non torneranno più. Giacomo Poretti fa da sé (ormai da tempo è diventato collaboratore fisso de La Stampa, senza i compagni Aldo e Giovanni) e fa in trio, in un periodo in cui, come dice lui, incontra il pubblico “prendendo due piccioni con una fava”: “In ogni città in cui sono in tour con gli altri, per lo spettacolo “Ammutta Muddica”, regia di Arturo Brachetti, riesco anche a presentare la mia opera letteraria”. Uno spasso dolceamaro, dal titolo naturalistico, che svela il comico milanese sotto un profilo insolitamente intimistico.
D) Giacomo, quando ha avuto la folgorazione dello scrittore?
R) E’ stata una scoperta anche per me pensarmi autore per la carta stampata. Non so se sia l’attività che preferisco. Teatro, cinema, letteratura hanno alla base idee differenti. Sembra una banalità, ma sono mondi così lontani… Forse tra le tante, il grande schermo è il prescelto, per i suoi soggetti, per la costruzione delle sceneggiature, degli ambienti.
D) In “Alto come un vaso di geranio” c’è un bambino in copertina, che le assomiglia vagamente. E’ lei? Quanti anni aveva?
R) E’ una bella foto di quando avevo 4 anni!
D) Sembra un bimbo alto, per quell’età. Nostalgia dell’infanzia?
R) Sì sì, nel libro sono alto. La suggestione di scriverlo è arrivata con la nascita di mio figlio, che mi ha stimolato a riflettere sugli avvenimenti passati, sul significato di alcuni episodi della mia vita e del modo di comportarci rispetto a qualche decennio fa. La nostalgia è naturale a una certa età, è il sentimento che ognuno di noi prova quando si guarda indietro. Sono contento di quello che mi è capitato, la nostalgia trasforma le cose, spinge ad andare verso qualcosa di positivo e migliore, anche se avanzerei qualche dubbio e non metterei proprio tanto ottimismo sul periodo che stiamo vivendo.
D) Un Poretti introspettivo? Dov’è finito Tafazzi?
R) Questa mia vena intimistica non interferisce con il lavoro con i soci, dunque posso coltivarla in libertà. Stavolta volevo mettere insieme una cosa diversa dal solito. Ho il migliore riscontro quando incontro il pubblico. Quello è un momento speciale, perché vieni a contatto con persone che ti hanno letto, li vedi uno a uno, anche se quasi mai ci si confronta. Non ci penso quando faccio il cinema o recito a teatro: è impossibile incrociare tutti i lettori, mi fa impressione questa cosa. Il rapporto, lo scambio, il giudizio sul tuo prodotto è lasciato lì nella testa persone, è un dialogo che continua.
D) Lei vive e ha sempre vissuto a Milano. Come si sta?
R) Che vuole che le dica, è il mio habitat. Vivo in una città, in questa città, perché lì ho coltivato gli affetti, ho impiantato la mia famiglia, ho un lavoro. Se avessi potuto scegliere un altro luogo, avrei preferito stare in montagna.
D) E’ un montagnino?
R) Mi piace molto l’ambiente, mi capita di andarci spesso in vacanza. Non ho preferenze, mi piacciono tutte, dall’Alto Adige alla Valle d’Aosta, alle Alpi Lombarde. Sento la natura molto presente quando sono lì, che è un dettaglio non trascurabile.
D) Scherziamo un po’, se esistesse la reincarnazione, che animale le piacerebbe essere?
R) Mah, non so se sarebbe bello infilarsi nella pelle di un animale. Comunque, guardandomi attorno direi il camoscio. Allo sguardo dell’uomo lo si immagina vivere una vita affascinante, sulle vette. Altro che Milano…
D) E’ così pessima la qualità della vita?
R) Non dico questo. Ci sono molti servizi, ma il clima, il traffico, la conformazione stessa della città non facilita i rapporti. La vita quotidiana in inverno non è proprio un bijoux. Ci sono città più piccole, che con lo sguardo del turista sembrano migliori. Per esempio Modena, Reggio Emilia, anzi Trieste, dove eravamo per lavoro con Giovanni e Aldo qualche tempo fa. Potrei citare anche Genova, Padova, Novara, ma sì, credo che Trieste e Reggio siano quelle che mi hanno colpito di più.
D) Se fosse assessore all’ambiente, che atti amministrativi metterebbe in campo?
R) Premetto che credo sia difficilissimo governare una città. Obbligherei d’inverno a non aver più di 21 gradi negli appartamenti. Ora, per fortuna, con una legge regionale entro il 2014 ogni inquilino del condomino come il mio pagherà in base ai consumi, con le termo-valvole. Obbligherei a usare il gas metano per il riscaldamento, se possibile incentiverei i pannelli solari.
D) A proposito di infanzia, le vengono in mente luoghi in Italia che frequentava da bambino, deturpati dal cemento e dall’incuria, negli anni?
R) Non qualcuno in particolare, ma certo il nostro Paese lascia molto a desiderare quanto a stile architettonico. Abbiamo città che sembrano dei patchwork, case vicine fatte in 100 modi diversi. La Liguria è bellissima, ma l’edilizia è terrificante.
D) Lei è sportivo?
R) Diciamo che mi piace guardarlo alla tv.
D) Sport da divano?
R) Corricchio, gioco a tennis. Non certo un atleta.
D) Ha mai fatto il testimonial per una campagna in difesa dell’ambiente?
R) Occorre fare attenzione nei confronti della demagogia nelle cose verdi, è spesso difficile attuarle. Noi, nel nostro piccolo, ci abbiamo provato, collaborando concretamente con il FAI, il Fondo per l’Ambiente Italiano, per cui abbiamo realizzato uno spot. Sono molto soddisfatto di averci messo la faccia e credo qualcosa sia servito.
Letizia Tortello